LA DISCOGRAFIA DI MICHELE GAZICH

Album

Il giorno che la rosa fiorì

Il giorno che la rosa fiorì

FonoBisanzio 2011 | FB04CD

Il giorno che la rosa fiorì completa una trilogia di album. “Il consenso, crescente, attorno al progetto La Nave dei Folli – osserva Gazich – mi ha permesso di continuare a investire e concludere questa prima trilogia di album. È una sorta di miracolo per la FonoBisanzio, l’etichetta indipendente che ho fondato nel 2008, ottenuto scegliendo sempre la qualità. Innanzitutto per quanto riguarda il contenuto del CD ovviamente (le canzoni, cioè, che saranno diffusamente analizzate nella cartella stampa), ma anche per quanto riguarda il packaging, anche questa volta ricco e curatissimo, con tutti i testi, sempre con traduzione inglese (supervisionata dal maestro Eric Andersen), disegni originali di Alice Falchetti e fotografie inedite di Cinzia C.; il tutto organizzato in un progetto grafico, che ha reso i CD FonoBisanzio riconoscibili al colpo d’occhio.
Il primo della album della trilogia, Dieci canzoni di Michele Gazich (FB01CD, 2008), era una nuova nascita, un ritorno alla vita, in cui un candido Idiota tornava in città. Il secondo, Dieci esercizi per volare (FB02CD, 2010) guardava verso l’alto, verso l’azzurro del cielo, parlava di angeli. Questo terzo capitolo, il giorno che la rosa fiorì, è dedicato all’amore.
Cosa faremmo senza l’amore, amici?

1: Verso Damasco
Mentre avanzava verso Damasco, Paolo, in seguito ad una improvvisa apparizione divina, cadde da cavallo e si convertì. Paolo e la sua caduta sono una sorta di monito, di avvertimento. “Per me non è un discorso solo religioso, confessionale – sottolinea Gazich –, ciò che vorrei dirvi è che chiunque ostinatamente si oppone all’amore prima o poi troverà la sua strada verso la sua Damasco e cadrà. Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, scrisse un inno all’amore (I Cor. 13), da cui prende le mosse la mia canzone”.
Musicalmente il brano si snoda, in maniera ampia e solenne, muovendo dal lento incedere del pianoforte, sottolineato dal violino e dalla chitarra elettrica. “Tu che mi ascolti ora devi sapere / abbiamo tutti le stesse paure / Tu lo sai e lo so anch’io / Tu che mi ascolti, lasciami dire / Il buio che ci avvolge non sembra mai finire… Tu lo sai e lo so anch’io / Che se non hai l’amore / Se tu non hai l’amore devi cadere…”. L’incredibile voce di Anna Petracca, capace di grande forza e di inusitata dolcezza, ci accompagna in un cammino affascinante e ardito dentro il nostro stesso cuore.

2: Il giorno che la rosa fiorì
“Rosa da rosa / Cuore da cuore / Non aspettare un’ora / La rosa non ritorna”.
La rosa, dalla poesia antica alla poesia contemporanea, è simbolo dell’amore.
La canzone, di matrice dichiaratamente folk, è sostenuta dalla linea di basso fiera e originale di Fabrizio Carletto, su cui si appoggiano i virtuosismi del violino di Gazich e un testo che, attraverso una serie di veloci sentenze dall’andamento quasi proverbiale, invita a cogliere il momento per amare: quante volte, schiacciati e puniti dal nostro stesso lavoro, non abbiamo il tempo per accorgerci che una rosa è fiorita!

3: L’ultima estate
“Ho passato l’ultima estate a fissare il sole / Da quando mia madre ha ripreso a ubriacarsi / Di sangue e di buona volontà / Da quando mia madre ha ripreso a spogliarsi / Per uomini senza valore / Con le barbe unte…”
Un testo espressionista, a tinte forti, ma la musica che lo accompagna è dolce, dolcemente inesorabile. La voce coheniana di Marco Lamberti sgrana le parole, mentre si lascia cullare da una viola triste e interiore. Dice Gazich: “Ho lavorato a lungo a questa canzone, a partire dal 2008, e ho atteso a lungo a pubblicarla, dato che la canzone è molto, molto personale: per questo motivo ho sempre pensato ad una voce maschile al canto”.
Particolare e raffinato lo schema delle rime della canzone, in cui ogni verso nelle quattro strofe rima con il verso corrispondente delle altre. Cioè: il primo con il primo, il secondo con il secondo, eccetera.

4: Scuola di ballo
Dice Gazich: “Il componimento è nato a Vernante, paese a me caro del cuneese, in Val Vermenagna. La composizione è iniziata il 16 agosto 2010: in questa giornata, ogni anno a Vernante si svolge La festa delle leve e tutte le generazioni si ritrovano a ballare in vari cerchi: ogni cerchio di danzatori è accompagnato da suonatori tradizionali di fisarmonica e clarinetto. È dolce e festoso vedere i figli che ballano il ballo dei padri, ma, guardando i danzatori passare per le strade del paese, di cerchio in cerchio, dai più giovani ai più vecchi, si riflette anche sul trascorrere inesorabile del tempo.
Una nota tecnica, ma che può interessare ai violinisti e a coloro che amano capire nel profondo come è costruita una canzone: per eseguire Scuola di ballo, ho adottato una personale accordatura per il mio violino, cioè: SOL, DO, LA, MI (mentre la normale accordatura del violino è SOL, RE, LA, MI). Cambiare l’accordatura della corda RE in DO mi ha permesso di realizzare un bordone di DO, per autoaccompagnarmi nel motivo di danza che potete ascoltare tra strofa e strofa, evocando in tal modo il suono di una ghironda (altro strumento tipico della musica tradizionale del Basso Piemonte, e dell’Occitania tutta, di recente riscoperto e valorizzato, accanto ai più comuni fisarmonica e clarinetto)”.
Impreziosiscono il tessuto strumentale di questa canzone il basso acustico di Fabrizio Carletto, nativo di Vernante, studioso della musica della sua terra, e la fisarmonica di Roberto Tentori, discendente ed erede di una lunga stirpe di suonatori tradizionali della Val Vermenagna.

5: La tua mano, il mare, le stelle
Quasi una ninna nanna, questa canzone conclude la prima parte del CD. Anche Il giorno che la rosa fiorì, come gli altri due album della trilogia che l’hanno preceduto, è diviso in due parti, per richiamare i tempi e le modalità d’ascolto del vecchio vinile.
In questo brano le due voci di Anna Petracca e di Marco Lamberti si incontrano e si sovrappongono. Crea un’emozione particolare, nella strofa conclusiva, la sovrapposizione dello stile declamato, da recitar cantando, di Lamberti con il morbido, materno fraseggiare della Petracca.

6: Elogio della rosa
Con questo titolo si designa, abitualmente, una porzione (III, CLIV-CLXI) del poema Adone di Giambattista Marino (1569-1625), in cui, con grande sfoggio di retorica, il poeta barocco elogia la regina dei fiori. “Ho preso a prestito questo titolo – precisa Gazich – per parlare della mia rosa, che unisce in sé cose diversissime come la trappola, il bacio, il sesso, il calice, la rosa mistica e molto altro, addirittura il cibo! (“Datemi rose da mangiare, per ritornare uomo”). Ricordiamo che, alla fine delle Metamorfosi o l’asino d’oro di Apuleio (II secolo d.C.), Lucio, il protagonista del racconto che era stato tramutato in asino (una sorta di Pinocchio latino), ridiventa uomo mangiando delle rose (XI, 13)”.
La canzone è divisa in tre sezioni diverse. La prima è di andamento dichiaratamente rock, scandita dalla potente linea di basso di Fabrizio Carletto, dalla chitarra elettrica in levare di Marco Lamberti e dal riff del pianoforte di Gazich. La seconda, in stile galante, quasi mozartiana, si basa sulla delicata trama di chitarra acustica, ancora a cura di Lamberti, su un ciclico motivo del pianoforte e sulle due voci (Anna Petracca che duetta con se stessa) che armonizzano l’inquietante sentenza: “Se questa rosa potesse bruciare / Io da mia madre potrei tornare / Se questa rosa vivesse in eterno / Io brucerei tra le fiamme d’inferno”. La terza sezione, caratterizzata dal suono di un quartetto d’archi (arrangiamento ed esecuzione sempre di Gazich) ha un andamento solenne, ieratico. Dice Michele: “Ho denominato questa sezione Sequentia Rosae. È un elenco dei nomi scientifici di alcune rose, che ho organizzato in una serie che può rammentare le sequentiae, le ritmiche poesie latine medioevali di argomento sacro. La mia è, invece, un’apocrifa e sensuale sequentia profana”.

7: Quando tu te ne andrai, un giorno
Canzone che, compostamente, descrive il momento conclusivo di un amore, quando la persona amata se ne va. Essenzialissimo l’arrangiamento: solo piano e voce. La voce di Anna Petracca è intensa ma senza enfasi, il pianoforte di Michele Gazich commenta con pochi tocchi, perché un amore che finisce non necessita di una marcia trionfale.

8: Fuoco nero su fuoco bianco
In diversi luoghi della tradizione rabbinica, la scrittura della Bibbia o, con maggiore esattezza, della Torah (i primi cinque libri della Bibbia) viene definita “Fuoco nero su fuoco bianco”: come se lettere di fuoco nero bruciassero sul fuoco bianco della pagina. Al di là della Bibbia, tante volte capita di essere come investiti da un fuoco quando leggete delle parole (un libro o una lettera) che toccano nel profondo.
Ossessiva la musicalità della canzone: basso pulsante di Fabrizio, riff ossessivo dell’elettrica di Marco, bordone di violino di Michele, Anna che declama il testo (“Fuoco nero su fuoco bianco / Se la notte si scioglie in pianto / Fuoco bianco su fuoco nero / Al mattino sarai sincero”) e un incredibile, urticante assolo di violino, che ci fa comprendere con poche note, perché tanti artisti hanno scelto di collaborare con Michele Gazich nei suoi vent’anni di carriera professionale.

9: Scene da un matrimonio
È anche il titolo di un film di Ingmar Bergman del 1973, che indaga senza pudore alcuno l’amata e odiata istituzione del matrimonio, che occasionalmente fa fiorire, ma più comunemente uccide il sentimento d’amore. Fondamentale anche in questo caso l’interpretazione intimista di Marco Lamberti. La canzone è divisa in due sezioni contrastanti. Prima sezione: le tragiche strofe in tonalità minore (“L’autunno è una vena di silenzio / L’inverno di quest’anno è tutto un velo / La primavera piange dentro i fiori / L’ultima estate brucia un sole vuoto”), caratterizzate dal piano, dalla chitarra elettrica e dal basso fretless. Seconda sezione: i ritornelli in tempo di valzer, con arrangiamento d’archi da Caffè del primo Novecento (“Un passo vicino / Due passi lontano / Il cuore è in soffitta / e mi tieni la mano / Un passo lontano / Due passi vicino / Anche se tu non mi ami / Ritorna il mattino”). Il giro di valzer con il circolare ritorno su se stesso allude agli alterni avvicinamenti e allontanamenti che si sperimentano nel corso di ogni matrimonio.

10: Il mio mattino
Questa canzone è già apparsa, con un differente mixaggio e insieme ad altre due canzoni, sul miniCD Collemaggio (FB03CD) di Michele Gazich e La Nave dei Folli, presentato a L’Aquila il 6 aprile 2010, in occasione dell’anniversario del sisma. L’incasso per la vendita dell’ormai introvabile miniCD Collemaggio è stato interamente devoluto per un fine molto concreto: il restauro della chiesetta di Santa Maria Degli Angeli, sede di una locale accademia musicale. Il terremoto ha inferto gravi lesioni interne alla chiesa e ne ha danneggiato la facciata medievale e l’antico rosone.
La canzone tuttavia, pur muovendo dalla tragica situazione aquilana, ancor oggi ben lungi dall’essere risolta, ha una valenza anche più ampia e chiudere la seconda parte de il giorno che la rosa fiorì con una nota di speranza, forte, solenne, ma non retorica: “E c’è un mattino su ogni rovina / E c’è un mattino su ogni sconfitta”, perché “Non hanno preso il mio cuore / Non hanno preso le mie mani / Ti posso amare con tutto il cuore / Posso toccarti con queste mani”.
I fatti della vita e i soprusi della società violenta che ci circonda, dove tutto sembra essere in vendita, possono privarci quasi di tutto, ma non del nostro cuore, della nostra capacità di amare e della nostra speranza, che non saranno mai in vendita: “Non puoi comprare la mia speranza / Non puoi comprarla, non te la vendo / Costa poco la tua violenza / Non ha prezzo la mia speranza”.

11: Ultima canzone d’amore
I precedenti CD di Michele Gazich contenevano dieci canzoni, suddivise in due parti, ognuna composta da cinque canzoni. Quest’ultimo CD della trilogia ha una canzone in più, che ricorda l’envoi, cioè il congedo, il saluto, la parte conclusiva di un componimento poetico, tipica, ad esempio, delle ballate stilnoviste in cui il poeta si congeda dalla propria opera d’arte e contemporaneamente invia un messaggio, di solito alla persona amata.
Data la circostanza, Michele interviene in prima persona al canto, facendosi accompagnare dalla fisarmonica di Roberto Tentori e dalle delicate seconde voci di Anna Petracca. Michele saluta il suo pubblico, le persone che lo hanno seguito, che egli chiama “amici”, come fa in ogni concerto con La Nave dei Folli.
Significativa soprattutto la strofa conclusiva, che sintetizza, con disarmante semplicità, la sua poetica: “Me ne vado, amici cari, ma vi lascio una canzone / Spero la ricorderete, forse l’avete già scordata / Ma resterà l’amore, l’amore che l’ha ispirata / Quando io sarò andato e la canzone dimenticata.”

Registrato tra il 13 marzo e il 12 dicembre 2010 da Paolo Costola. Mixato tra il 24 dicembre 2010 e il 16 gennaio 2011 da Michele Gazich e Paolo Costola presso lo studio MacWave di Brescia

Copertina e disegni di Alice Falchetti
Fotografie di Cinzia C.
Traduzione inglese a cura di Eric Andersen

Produzione artistica: Michele Gazich

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